Neurofenomenologia: le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente
Pubblicato in: Quaderni di Gestalt, vol. XXIV 2011/12, pag. 126 – 129, Franco Angeli s.r.l. – Milano 2012
“Nella quotidianità siamo prigionieri di sistemi di riferimento legati al passato che rendono difficile l’incontro con l’altro, invece, la relazione ideale prevede un contatto da essenza a essenza, guardando l’altro senza preconcetti, come se fosse la prima volta”.
La neurofenomenologia
Sul finire del secolo scorso, F. Varela (Neurofenomenologia, p. 65) fonda la Neurofenomenologia, disciplina tesa a realizzare una maggiore interazione tra scienze esatte e l’esperienza vissuta “in prima persona”, in “intimità” con il fenomeno. Lo scienziato e filosofo sposta l’attenzione dal pensiero orientato al contenuto, «verso il sorgere dei pensieri stessi» (p. 75), a prima che si formino, e non per arrestarne il flusso, il che sarebbe impossibile, ma per favorire l’esperienza ingenua. Una provvisoria “sospensione di credenze”, rispetto a quanto “si sta esaminando”, per facilitare intuizione e consapevolezza.
Bertossa e R. Ferrari (Sez. III, p. 271) sottolineano che Varela indaga sulle radici biologiche della cognizione e afferma che la conoscenza nasce dal sentire e muoversi con il corpo in un mondo. Varela pratica il buddhismo, collabora con il Dalai Lama, e nelle sue concezioni va oltre la dimensione della materialità: la conoscenza è una messa in scena, fatta di percezioni e azioni incarnate.
L’evoluzione
La sostanza del mondo e della mente umana sono un aggregato illusorio. È chiaro che le tradizioni spirituali alle quali Varela si ispira mettono in primo piano ciò che appare, il processo, per cogliere da lì la natura stessa dei fenomeni: gli stati della mente quieta[1], da cui nasce ogni forma di esistenza. Guardare al processo è il fondamento della terapia gestaltica. F. Perls poneva il vuoto all’origine di ogni cosa. Dal vuoto nascono comprensioni e nuove esperienze fuori dagli schemi abituali e più consone agli stati naturali dell’esistenza[2] .
Capire è importante senza pensiero non c’è guida, non c’è appoggio, ma conoscere è altra cosa, implica l’esperienza diretta, il recupero della spontaneità, prima che intervengano pregiudizi e valutazioni. V. Gallese guarda ai correlati neurali di quanto si sperimenta in “prima persona” e ai conseguenti fenomeni relazionali, basati su modelli preesistenti “delle interazioni corpo mondo”, “forme prelinguistiche di rappresentazione” che, secondo Gallese sono alla base dell’intersoggettività (p.317).
L’autore mette al centro della sua indagine il sistema «sensori-motorio» (P 294). Sembra dire: prima di distarsi, con pensieri e interpretazioni, guardiamo al corpo, all’esperienza vissuta. Ricorda il “tornare a casa” della tradizione Zen. Di fatto, il primo contatto avviene attraverso i sensi.
“La sensazione ci parla di soggettività”, dice Gallese, e di come il mondo agisce su di noi, soggetti senzienti. Al contrario la percezione “ci parla di oggettività”, di un mondo che esiste di per sé e “si concede” al nostro “sguardo” (pp. 294-295). È questa la matrice neurofisiologica dell’esperienza relazionale? La sensazione informa ma su come si presenta il mondo. Ne rende possibile il riconoscimento, è una precondizione che permette la percezione. Come dire che le sensazioni stimolano l’orientamento verso specifici obiettivi, anche se forse nel tempo non corrispondono più in maniera piena ad esigenze naturali[3].
E questo perché sono oscurate dagli adattamenti, a loro volta sostenuti da convinzioni o decisioni, prese nella prima infanzia. Tali adattamenti influenzano l’esperienza della sensazione? È questa già predisposta a forme di valutazione? Se così fosse sarebbe utile “tendere un agguato a se stessi”, come direbbe Castaneda, per superare gli ostacoli e raggiungere parti più vere di sé, precedenti alle influenze valutative. Occorrono trucchi per aggirare l’Ego, come quelli offerti dalla simulazione teatrale, ad esempio, che personalmente utilizzo nel mio modello di Teatro Trasformatore.
La sensazione a mio parere si sperimenta in una fase di precontatto: apre alla possibilità. Punto centrale del lavoro di Gallese è il riferimento alle scoperte di G. Rizzolatti e del suo gruppo, di cui egli stesso fa parte. Durante esperimenti fatti su scimmie vennero scoperte fasce di neuroni, in seguito definiti neuroni specchio, che si attivavano durante azioni finalizzate ad uno scopo, e nel caso specifico ogni volta che la scimmia prendeva un oggetto. Non importava il modo in cui l’animale svolgesse l’atto.
Il punto comune dei suoi gesti era “il livello più astratto di descrizione di un’azione: il suo finalismo” (p. 300). Fu chiaro inoltre che “vedere l’oggetto significa evocare automaticamente cosa faremmo” (p 301) con esso. “L’oggetto (…) è l’azione potenziale” (p. 301), e l’azione attiva “il processo di significazione del mondo” (p. 302).
Il rapporto con i processi sensoriali
In Gestalt è l’agito che parla e dà significato. Il presupposto dell’azione sono i processi sensoriali, i quali sono parte dell’azione stessa, che a sua volta è connessa con la percezione. Spostando l’attenzione alla dimensione sociale, Gallese mette in evidenza tre fattori: la capacità di intendere le azioni, le sensazioni, e gli stati mentali altrui.
I neuroni specchio “si attivano sia quando compiamo un’azione, che quando la vediamo eseguire da altri” (p. 304). Ogni volta che percepiamo un’azione e ne intendiamo il significato, la simuliamo internamente. Chi osserva entra nel mondo dell’altro attraverso processi di modellizzazione[4]. Questo vuol dire che per attivare i neuroni specchio occorre un’azione e che il solo osservarla mentre altri la compiono “induce” la sua simulazione automatica, “incarnata”.
A questi fini è necessario un evento esterno. Sia le azioni dirette verso oggetti che le azioni comunicative, e questo è importante, creano spazio per l’intersoggettività condivisa, esperienza alla quale, ad esempio, non può accedere una persona autistica. Con l’immaginazione mentale, ai fini della simulazione, occorre invece un atto di volontà, cioè un evento che parta dall’interno, come ad esempio immaginare di prendere una penna.
L’autore ribadisce, citando Husserl, che è il corpo il “fondamento costitutivo di ogni percezione, inclusa quella sociale” (p. 307). In particolare è “la sensazione tattile” che conferisce la qualità di persona. Ricorda che nel linguaggio comune si dice: “rimaniamo in contatto” (p. 307). Se veniamo toccati in qualche parte del corpo, si attiva lo stesso circuito neuronale che si attiverebbe osservando un’altra persona che viene toccata in quella stessa parte. Questo dipende dalla capacità di predire un possibile simile impatto sul proprio corpo.
Ma anche di riconoscere le esperienze tattili di altri, grazie al meccanismo di “simulazione incarnata”, che è alla base della relazionalità, e fa sì che la comprensione di ciò che sperimentiamo sia automatica, immediata e non conscia. Quindi non è necessaria una deliberata interpretazione. Osservando gli altri, quasi sempre, siamo in grado di comprendere cosa fanno o stiano per fare. Il comportamento altrui non è un “datum oggettivo”, questa è la visione di una “razionalità logico inferenziale”, per la quale “le intenzioni mentali invisibili”[5] (p. 314) dovrebbero essere interpretate. Il discorso di Gallese ritengo sia in linea con il principio di intersoggettività, con al centro il corpo, così come enunciato da Husserl. Come esseri umani siamo strettamente interconnessi. Lo sappiamo da tante nostre esperienze terapeutiche e Thich Nhat Hanh[6] ce ne parla nei termini di inter – essere universale (Hanh, 1989), in cui tutte le cose sono interdipendenti.
La Gestalt e gli approcci pratici
La Gestalt, oltre che al tornare all’esperienza, dà spazio all’intuizione che è frutto di una conoscenza originaria. Entrambi i fattori sono presenti nella sua filosofia e prassi. Ad esempio le tecniche di identificazione nelle parti e la loro rappresentazione, o le tecniche di incontro basate su spontaneità e trasparenza. Secondo Gallese, il “mentalismo”, ovvero l’attribuzione di credenze, intenzioni e desideri all’altro, è solo una parte “nel nostro spazio mentale sociale” mentre “la simulazione incarnata”, legata al come siamo fatti e a come funzioniamo in relazione al mondo, ci permette di avere certezze implicite su noi stessi e sugli altri.
I meccanismi basati sull’automatismo mi confermano la validità anche scientifica di una serie di interventi terapeutici che utilizzo nella mia pratica professionale e che agiscono, come mi piace dire, a “mente vuota”, prima che inizi l’elaborazione mentale. La spontaneità dello stimolo terapeutico e la risposta immediata, non pensata, del paziente, permettono di raggiungere nuclei profondi, prima che si attivino gli schemi copionali che controllano l’esistenza. Il vuoto mentale, in particolare, favorisce l’incontro da persona a persona, e così anche in terapia. Tornando a Gallese, la rappresentazione della realtà, non è la copia di un dato oggettivo, “ma un modello interattivo”, soprattutto quando “l’oggetto rappresentato è un altro individuo” (p.316).
In Gestalt consideriamo l’altro da noi come un Tu, non un individuo generico, un oggetto di osservazione, ma un essere unico con il quale interagire. Questo comporta il guardare l’altro senza preconcetti, come se fosse la prima volta. La relazione ideale prevede contatto da essenza a essenza. Di fatto i nostri incontri sono viziati dai modelli di adattamento, forme di Copione di vita, che allontanano da un contatto profondo con noi stessi e l’altro.
Varela invita a tornare alle origini, a prima del pensiero. È una meta che può essere raggiunta attraverso un percorso di tipo meditativo verso la mente quieta e il vuoto che la costituisce. Nella quotidianità siamo prigionieri di sistemi di riferimento legati al passato che rendono difficile l’incontro con l’altro. Di qui le incongruenze comunicative e le problematiche relazionali, magari di tipo transferale, sulle quali ancora non so come potrebbe rispondere la teoria dei neuroni specchio.
Certo a “mente pura” c’è empatia, e più profondamente, con più coinvolgimento emotivo, c’è simpatia, o condivisione di un sentimento, come ricorda L. Boella citando M. Scheler (p. 328) e ci sono momenti di pieno contatto. Ma nella vita di ogni giorno non è sempre così.
La simulazione incarnata, è “un sistema di molteplicità condivisa” (p. 318), che permette di riconoscere gli altri esseri umani come nostri simili. Ci consente l’imitazione e l’attribuzione di intenzioni, anche se solo nelle forme più semplici.
Le azioni, le emozioni e le sensazioni dell’altro, hanno significato per noi perché le possiamo condividere grazie ad “un comune formato di rappresentazione”. Ma ci sono anche molte difficoltà. È probabile che la simulazione incarnata e il sistema della molteplicità condivisa, non siano i soli meccanismi alla base dell’intersoggettività. La ricerca resta ancora aperta.
Concludendo, Gallese considera le scoperte sui neuroni specchio come una piena conferma, neurofisiologicamente provata, di processi empatici che ci fanno rispecchiare nell’altro quando viene percepita una relazione di somiglianza.
Antonio Ferrara[7]
[1] Mente Quieta: Stato di coscienza che si sperimenta attraverso la pratica meditativa. Equivale a tenere libera la mente da ogni valutazione o giudizio, per favorire l’emergere di un vuoto da cui si crea ogni esperienza.
[2] Stati Naturali dell’Esistenza: un modo di stare al mondo che permette di andare all’origine stessa del fenomeno, alla cosa in sé, a cui si riferisce la fenomenologia. Una rosa è una rosa, dice F. Perls, citando G. Stein.
[3] Esigenze Naturali: dettate dal contatto con bisogni basici e da una sensorialità incontaminata tipici del bambino “libero” o “naturale”, della concezione di E. Berne.
[4] Modellizzazione: che utilizza Gallese come sinonimo di simulazione, che etimologicamente vuol dire rendere simile.
[5] Le Intenzioni Mentali Invisibili: sono connesse ai processi prelinguistici, automatici, frutto di reattività spontanea, che precedono l’organizzazione cognitiva.
[6] Thich Nhat Hanh. Monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace, autore di numerosi libri tra i quali “Essere Pace” (Ubaldini, 1939, Being Peace).
[7] Didatta Supervisore in psicoterapia della Gestalt (FISIG) e Analisi Transazionale (ITAA/EATA). Direttore della Scuola Quadriennale di Psicoterapia IGAT (Miur). Supervisore in Italia e all’estero nei programmi SAT.