Questioni di sesso?

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Questioni di sesso?

Pubblicato in: Psicologia e salute – Anno I (nuova serie) n. 0, 1997.

 

“Un problema sessuale nasconde dinamiche profonde ed è la rappresentazione emergente dell’organizzazione di un’intera personalità”.

 

Spesso un problema sessuale risulta resistente al trattamento terapeutico ed ogni tecnica di tipo comportamentale si rivela inefficace. È necessario allora esplorare aspetti e dinamiche psichiche che coinvolgono l’organizzazione più profonda della personalità.

Nel sesso, come negli altri aspetti del comportamento, manifestiamo il nostro copione di vita, cioè l’insieme di convinzioni e decisioni che si sono costruite intorno alle esperienze significative vissute nelle diverse fasi degli anni del nostro sviluppo e sulle quali abbiamo formato il nostro specifico modello di adattamento al mondo, il modo di essere e di relazionarci. È ovvio che l’esperienza sessuale, piena di implicazioni affettive, rifletta pienamente il nostro modo di essere. La cura di un problema sessuale può diventare per queste ragioni la cura del Copione di vita.

Molti hanno difficoltà a concepire che il loro problema può avere radici antiche, e che può risalire alla natura dei rapporti con le prime figure significative dell’infanzia. Proprio da queste relazioni può derivare la tendenza ad operare una scissione tra esperienza affettiva e piacere sessuale, scissione che ha lo scopo di difendere e proteggere dal rischio di rivivere un’angoscia legata ad antiche carenze affettive e pertanto occorre una terapia approfondita e a volte lunga, per risolvere quello che apparentemente è solo un sintomo. Molti hanno difficoltà a concepire che il loro problema ha radici antiche, che possono risalire all’infanzia ed ai rapporti con le figure genitoriali. Proprio da queste relazioni può derivare la tendenza, molto comune, ad operare una scissione tra mondo affettivo e piacere sessuale, scissione che ha lo scopo di difendere e proteggere dal rischio di rivivere un’angoscia legata ad antichi traumi affettivi.

L’esperienza di L. può essere chiarificatrice. Alle soglie dei 40 anni si decise ad affrontare quello che da sempre aveva vissuto come un limite e che mai aveva provato a risolvere: la sua incapacità a provare orgasmi durante un rapporto completo.

Si sentiva donna a metà.

Pur accettando che vi fosse una sua responsabilità nell’impedirsi un pieno coinvolgimento sessuale, d’altro lato le sembrava poco credibile che avesse bisogno di un lavoro terapeutico profondo per andare alle cause più remote che alimentavano il suo problema.

Diceva che piuttosto doveva imparare a conoscere uomini diversi perché incontrava sempre persone poco attente ai suoi bisogni.

Lei voleva il rapporto, sentiva forte il desiderio, ma appena iniziava una maggiore intimità creava una barriera che le impediva di soddisfarsi. In effetti il desiderio scompariva non appena il livello di eccitazione superava una certa soglia che la portava “pericolosamente” vicina all’orgasmo. Allora diventava fredda e distaccata, la sua mente andava altrove, mentre passivamente assisteva al completamento del rapporto da parte del partner. Le sfuggiva che la scelta degli uomini, tutti dello stesso tipo, era in qualche modo inconsciamente voluta e che quella scelta era strettamente connessa al problema. Cioè era il suo modo di entrare in relazione che attirava quel genere di uomini e non altri tipi di persone.

Durante la terapia ebbe una storia particolarmente frustrante con un uomo clic la lasciò senza spiegazioni.

  1. decise di non avere più rapporti significativi e tanto meno esperienze sessuali.

Per alcuni anni l’uomo divenne tabù.

Contemporaneamente andava scoprendo nuovi interessi e attitudini, si dedicò a tante diverse attività dalle quali traeva soddisfazione e gratificazioni.

Le sembrò che finalmente la sua vita assumesse senso e significato. Si sentiva bene, le sue giornate erano piene, ma nel fondo restava un vuoto ed una amarezza che nascondeva a sé stessa. Sviava il discorso ogni qual volta che veniva sollecitata a considerare i suoi bisogni affettivi. Il problema sessuale sembrava non essere più tra gli obiettivi della sua terapia. D’altro canto era notevolmente cambiata nel modo di vivere ed erano molto migliorate le sue capacità relazionali. Il cambiamento nella sfera sessuale arrivò improvviso e quanto mai rapido, rispetto al lungo periodo di terapia già affrontato. Conobbe un uomo con il quale instaurò un rapporto di amicizia e “solo amicizia” teneva a precisare, e come amico incominciò a frequentarlo con assiduità. Contemporaneamente in terapia divennero sempre più presenti i temi della perdita. In un sogno significativo apparve l’immagine del seno bellissimo della madre che “non dava latte”. Rivisitando il sogno con una modalità tecnica di tipo esperienziale, fece una associazione che la colpì profondamente. Sotto forma diversa ancor oggi vive gli effetti di quella esperienza simbolizzata dal sogno: quando abbraccia un uomo si raffredda o si sente svenire e lo interpreta come un modo per evitare la delusione di non ricevere “niente” da un’esperienza che dovrebbe essere “accogliente e bella”. Un aspetto della sua personalità è rimasto fissato a quanto sperimentava molto piccola con una madre che faceva dolci promesse che poi non manteneva.

Questo perlomeno è il vissuto della bambina.

Oggi L. trasferisce lo stesso vissuto sugli uomini, con i quali non vuole correre un simile rischio e rivivere l’antico dolore.

Una idea “pazza”, radicata su esperienze non più valide e generalizzata in maniera incongruente, le ha impedito per anni di sperimentare profondi rapporti amorosi e il blocco sessuale ne è stata la manifestazione più evidente.

Allora divenne anche consapevole che “a bella posta” si era cercata compagni che la aiutavano a confermarsi in una idea molto radicata in lei, quella di non potersi fidare, e difatti ogni volta che lo faceva si ritrovava frustrata e delusa. Le divenne chiaro che vi era una sua responsabilità nell’istaurare rapporti con persone che avevano sempre caratteristiche comuni e che l’incontro con loro non poteva essere soltanto casuale.

“Io non potevo sapere” diceva, ”come potevo immaginare”.

Scoprì che lo scegliere un certo tipo di relazioni e tutto il suo comportamento, avevano una coerenza se considerati in funzione di una antica decisione, della cui validità voleva costantemente avere conferma: meglio diventare di “ghiaccio”, come aveva deciso nell’infanzia, per far fronte alle ripetute frustrazioni e delusioni.

Ora l’amico “spirituale” era diventato il suo Pigmalione.

Con lui imparò ad acquisire fiducia e diede spazio al proprio desiderio, sperimentando per la prima volta un rapporto pieno, completo, senza paura.

A questo punto poté fare un lavoro di distacco dal proprio mondo infantile ed espellere da sé le introiezioni genitoriali che ancora le pesavano e che in una drammatica seduta apparvero in tutta la loro forza e gravità.

Sperimentò forti dolori e contrazioni al basso ventre, cominciò a parlare a loro, al padre e alla madre, come se fossero presenti e poté esprimere la rabbia e il dolore lancinante per non essere stata ascoltata, quasi non esistesse, condizione alla quale si era rassegnata, pur di non vivere il temuto abbandono, pur di non perderli. La piccola bambina aveva rinunciato al mondo delle emozioni e delle sensazioni, si era costruita una gelida armatura pur di rendersi inattaccabile, una drammatica difesa che la rendeva “di ghiaccio”. Quando di lì a poco si trovò ad affrontare la separazione anche dal compagno con il quale aveva sperimentato nuove possibilità e rivisto la sua posizione rispetto agli uomini, con il dolore e l’amore di cui ora si sentiva piena, poté dire: “ora non importa, ora so che mi sono sciolta e che posso vivere nuovamente quest’esperienza, è mia, è parte di me, nessuno può togliermela e con tutto il dolore che provo so che non mi fermerò, non mi farò schiacciare dalla delusione, è stato bello e potrò riviverlo”. La pienezza del calore della sua nuova capacità d’amare aveva sciolto definitivamente “la barretta di ghiaccio” che aveva posto tra il suo cuore e le sue pelvi, per usare l’immagine che più volte L. aveva adoperato nel descrivere la propria esperienza.